Nelle puntate precedenti abbiamo visto come la Murano del XVII° secolo contasse 8.000 abitanti, dimore sontuose e chiese ormai scomparse, un suo Podestà (con sede nel Palazzo della Ragione, anch’esso scomparso) un libro d’oro e svariati privilegi. Da dove veniva tutta questa ricchezza, in un’isola che qualche secolo prima viveva essenzialmente di pesca e saline? Dalla capacità di preservare (nei “secoli bui” delle invasioni barbariche) e successivamente portare a vette ineguagliate (di perfezione e creatività) un’arte antica di cui troviamo già traccia negli scritti di Plinio il Vecchio (Naturalis historia) e Strabone (Geographica XVI° libro, 2,25) nel primo secolo dopo Cristo.
Un’arte antica, nata sull’altra sponda del Mediterraneo (“la parte della Siria che si chiama Fenicia e confina con la Galilea“, scrive Plino il Vecchio), già prospera in epoca romana (ad Aquileia in particolare) e poi rinata grazie ai profughi che sulle ceneri dell’Impero seppero creare una nuova civiltà in laguna e avviare una produzione di cui quest’isola (a partire dal 1295) venne a esercitare un monopolio gelosamente protetto dalla Serenissima Repubblica di Venezia che (come vedremo) ricorse a tutti i mezzi disponibili per evitare che certi segreti di fabbricazione venissero esportati e sempre cercò di trattenere (colmandoli di attenzioni) gli artigiani attratti dalle offerte delle potenze straniere (che se li contendevano a peso d’oro). Di cosa stiamo parlando, e quanta ricchezza produceva questa forma d’arte?
Per illustrarlo, partiamo da questa moneta: un “ducato d’oro del valore di 18 grossi d’argento” (decreto del Maggior Consiglio del 1284) pari a 3,5 grammi di oro zecchino (con 997 millesimi d’oro, è la moneta più “pura” della storia e a partire dal 1545 verrà chiamata semplicemente “zecchino”). Questo della foto risale al Dogado di Alvise Contarini (1676-1684) ed è quindi coevo alla carta di Murano da cui siamo partiti per questo viaggio nel tempo. Perché questa moneta? Perché otto milioni di ducati d’oro era il “fatturato” del vetro di Murano secondo gli storici del settore.
Facciamo qualche conto? Otto milioni di ducati moltiplicati per 3,5 grammi d’oro = ventotto tonnellate d’oro (28 milioni di grammi). Alla quotazione attuale dell’oro, corrispondono a 840 milioni di euro. Divisi per gli 8.000 abitanti dell’epoca, se il dato è corretto, farebbero 105.000 euro a testa (prodotto interno lordo “pro-capite”, bambini compresi). Al giorno d’oggi (e senza contare la differenza nel potere di acquisto, che all’epoca era superiore) il medesimo settore fattura all’incirca 100 milioni di euro all’anno (erano 150 milioni di euro nel 2006):
http://www.distrettidelveneto.it/index.php?option=com_content&task=blogsection&id=54&Itemid=130
Da cosa nacque, allora, la “crisi muranese” che nella prima metà dell’Ottocento portò alla demolizione di tanti gioielli architettonici, e quali similitudini presenta con la crisi che negli ultimi anni ha nuovamente colpito quel medesimo settore portante dell’economia isolana? Quali lezioni se ne possono trarre per risorgere dalle ceneri come la Fenice, e come già accadde nella seconda metà dell’Ottocento? Nessuno ha la bacchetta magica e non è qui che troverete la risposta, ma agli esperti che stanno affrontando la questione vorrei semplicemente offrire qualche spunto di riflessione partendo da un dato di fatto, che mi pare evidente: oggi come allora, l’economia isolana si deve confrontare con un duplice ordine di problemi I) le carenze dei governanti II) la concorrenza straniera.
Nella prima metà dell’Ottocento la concorrenza a basso costo (nel settore che qui ci interessa) era quella boema. La Boemia era una delle gemme della corona austro-ungarica, e quando Venezia venne consegnata in mano austriaca (per due volte: con il Trattato di Campoformido nel 1797 e con quello di Vienna nel 1815) il colpo per Murano fu durissimo: un po’ come se un domani la Repubblica italiana venisse smembrata e il Veneto venisse assegnato alla Repubblica Popolare Cinese, che infatti ha già insediato una sua folta “quinta colonna” a Venezia (perdonatemi la battuta).
Non è un caso o una coincidenza (a parere di chi scrive) se le chiese e i palazzi nobiliari che vennero incredibilmente demoliti (come spiegato nella puntata precedente) lo furono proprio nel periodo della seconda occupazione austriaca, e non è un caso se nel 1796, quando si organizzavano gli ultimi tentativi per difendere quella Repubblica che sarebbe stata travolta dagli eventi (o dall’ignavia dei suoi dirigenti) a Murano si contarono 500 “militi volontari”, che era un numero enorme rispetto alla popolazione dell’isola.
I muranesi si distinsero ancora quando da Chioggia a Palmanova, passando per Vicenza ed Osoppo, la rivoluzione del 1848 (iniziata a Venezia, con la presa dell’Arsenale) diede vita ad una nuova Repubblica Veneta, retta dal governo provvisorio di Daniele Manin. Cacciati dalla laguna, gli austriaci la misero presto sotto assedio e nella primavera del 1849 (quando le truppe imperiali avevano ormai ripreso con la forza tutte le città della terraferma) agli assediati venne a mancare tutto, compresa la polvere da sparo. Ebbene, a produrla in loco fu il farmacista muranese Antonio Colleoni, che già si era distinto come capitano della Guardia Civica e comandante di piazza: dalle erbe medicinali alle “polveri piriche” il passo fu breve, per l’esperto chimico che aveva aperto quella farmacia nel 1841 e che (pur essendo nato altrove, e quindi “foresto”) diventerà il primo Sindaco di Murano quando nel 1866 il Veneto entrerà a far parte del Regno d’Italia.
La farmacia porta ancora il suo nome e si trova in Fondamenta dei vetrai (ai piedi del Ponte longo che attraversa il Canal grande di Murano). Al Colleoni muranese è dedicata anche l’omonima Fondamenta e ai nostalgici che vagheggiano del “buon governo austro-ungarico” verrebbe da chiedere come mai (se era così “buono”) i veneziani e i chioggiotti e i muranesi non vedevano l’ora di liberarsene, e per farlo rischiarono tutto con la rivoluzione del 1848: se fosse stato così illuminato come alcuni sostengono (e nelle campagne forse lo era, perché si appoggiava sui proprietari terrieri), i veneziani se ne sarebbero stati quieti a curare i loro affari e oggi magari parleremmo tedesco, oltre a bere lo “spritz” all’ora dell’aperitivo. La numerazione delle case nei nostri sestieri la introdussero loro? Certo, ma era semplicemente per tassarle meglio: se l’intenzione fosse stata quella di agevolare il viandante o il postino, non avrebbero optato per un sistema che conta 5.000 numeri civici in media e a serpentina, per ogni sestiere di Venezia. Se l’avessero veramente amata, non l’avrebbero bombardata e a più riprese (!) come fecero nel 1849, senza riguardo alcuno per chiese e monumenti:
http://rialtofil.com/la-foto-del-giorno/
La concorrenza boema (agevolata o comunque non ostacolata dall’occupante austriaco) fu dunque un colpo fatale, eppure i muranesi seppero trovare le energie e le intelligenze per una ripresa economica spettacolare già nella seconda metà dell’Ottocento, e l’isola ritrovò la sua prosperità. Una di queste intelligenze fu Vincenzo Zanetti, dal quale ho tratto alcuni dei dati qui citati (quello sugli 8 milioni di ducati, ad esempio). Una delle circostanze che facilitarono la ripresa fu invece la cessazione della dominazione austriaca (1866) ed il conseguente ripristino di una qualche forma di sovranità nazionale che non aveva più interesse ad aiutare la concorrenza boema ma piuttosto a fronteggiarla, come già aveva fatto la Serenissima. A scanso di equivoci, viste le possibili analogie con la situazione attuale, sia chiaro che questa pagina non intende fare “politica” ma divulgazione storica, e a chi vorrà leggerla offre solo qualche spunto di riflessione: ognuno di voi potrà trarne le conclusioni che vorrà, a seconda della sua sensibilità e dei suoi propri convincimenti.
Come si misura la “ripresa” econcomica dell’isola in quel periodo? Un primo importante indizio lo offre Marco Toso Borella (alla voce “abitanti”, nel suo “Dizionario di Murano”):
“Nel 1821, 4.400 anime (1500 in San Donà, per la gran parte “vignaioli o pescatori” e 2900 in San Pietro in maggior misura “occupati nelle fornaci”);
Nel 1904, 7.250 anime (lavoravano nell’isola 3000 operai, di cui 600 veneziani e buranelli)”.
La ripresa economica è visibile anche da piccoli dettagli di vita quotodiana come quello che segue: il raddoppio delle corse che collegavano Murano con Venezia, deliberato nel 1887. Al momento si parla invece di ridurle, ed è un “dettaglio” che dovrebbe far riflettere.
Una prima crisi (e questo pochi lo ricordano) Murano l’aveva già conosciuta nel XVII° secolo: la “guerra degli specchi” del 1664, quando il re di Francia Luigi XIV° (detto “re Sole”) e il suo potente ministro Colbert (che di economia se ne intendeva) riuscirono ad attrarre alcuni maestri muranesi a Parigi per avviare una produzione su larga scala: Luigi XIV° si era messo in testa di costruire una nuova reggia, a Versailles, con l’obiettivo di farne la più sfarzosa del mondo. Dal canto suo, Colbert che sapeva fare di conto aveva capito i margini di profitto enormi di quel “business” che trasformava la sabbia in monete d’oro, e l’interesse di poter contare su un’industria nazionale anche in questo settore. Risultato? Nel giro di pochi anni Murano conobbe “una grave crisi d’identità e di produzione, a sua volta foriera di nuove massicce emigrazioni che continuano per tutto il Settecento coinvolgendo anche le produzioni delle conterie (perle a lume) e delle margherite (perline forate)”.
Da cosa era stata innescata questa prima crisi, oltre che dagli appetiti altrui? Dall’errore di prospettiva che aveva portato alcuni muranesi ad accettare le offerte commerciali di una potenza straniera, esportando il loro savoir faire e alcuni segreti di fabbricazione. “Nulla di nuovo sotto il sole” – commenteranno forse alcuni amici, che ben conoscono le origini della crisi attuale – ma una volta imparati tali segreti e avviata la produzione in Francia, i francesi congedarono le maestranze muranesi accusandole di essere “incostanti, volubili e di pessimo carattere”. I transfughi a quel punto rientrarono in patria, ma le quote di mercato no: i francesi ormai avevano imparato a farseli da soli, quegli specchi che adorneranno la reggia di Versailles nel 1682:
http://it.wikipedia.org/wiki/Galleria_degli_Specchi#La_Galleria_degli_Specchi
A chi volesse approfondire, consiglio questa lettura: “I servizi segreti di Venezia” (Paolo Preto, 1994) dal quale apprendiamo ad esempio che quando Ferdinando de’ Medici convinse alcuni maestri vetrai ad aprire una fornace a Pisa, il successo di quella prima “esportazione di tecnologia” fu all’origine di una piccola diaspora (a metà del 1600) le cui dimensioni cominciarono a destare preoccupazione a Venezia. Per porvi un freno e lanciare un “segnale” inequivocabile, la Serenissima ricorse ad alcune misure di varia natura, alternando carota (gli incentivi al rientro) e.. bastone. In che senso? Giudicate voi: nel 1658, il maestro vetraio Giovan Domenico Battaggia venne trovato morto per ragioni su cui esistono due versioni ufficiali. La prima è quella del medico (veneziano) di famiglia, secondo cui il decesso era dovuto a “quest’aria di Pisa che nella staggion del caldo è pessima e dolorosa”. La seconda, avvalorata da una confessione scritta di tale Bastian de’ Daniel, parla invece di un veleno personalmente consegnatogli dagli Inquisitori (della Serenissima) “col quale ho tolto di mezzo anche altri due operai, come è ormai di pubblico dominio a Murano”. Quale che sia la verità su quel decesso (altre morti simili si verificarono durante la “guerra degli specchi”), fra il 1659 e il 1660 tutti i transfughi (in terra toscana, che allora era terra “straniera”) rientrarono in laguna.
Altri tempi, altri metodi.. fra quelli descritti in quel libro (che per la verità accenna anche alla politica di “incentivi” messa in atto dalla Serenissima per tutelare la produzione in laguna) e la resa incondizionata ad una concorrenza fatta di prodotti a basso costo (ma di pessima qualità) si potrà ben trovare la giusta via di mezzo (“in medio stat virtus”), senza ricorrere all’arsenico: perché sarà anche vero che l’Italia ha vissuto una crisi economica particolarmente lunga, ma è anche vero che per i prodotti di qualità la domanda internazionale è in crescita costante e che questo settore ha conosciuto altre crisi cicliche (come ho cercato di dimostrare) ma sempre ha saputo risollevarsi e spiccare il volo, come questo gabbiano del compianto Maestro Gino Cenedese, ed è questo il mio personale augurio ai muranesi per il 2014. Manufatti come questi sono inimitabili, e se ne fanno solo in quest’isola che nelle fornaci ha forgiato anche il carattere dei suoi abitanti: “nemici dichiarati dell’ignavia e dell’ozio, naturalmente intelligenti, industri ed operosi, ritraendo qualche cosa dalla natura del fuoco e del vetro” (Vincenzo Zanetti).
Il seguito? Alla prossima puntata,
Rialtofil
15 gennaio 2014
Le foto sono mie ad eccezione di quella del manifesto avviso del 1877, che è tratta da: “L’Archivio municipale di Murano 1808/1924” (Sergio Barizza,Giorgio Ferrari).
Per saperne di più sulla Murano scomparsa, rinvio all’ottimo sito di Marco Toso Borella:
http://www.isolainvisibile.it/
Per qualche informazione in più sulla monetazione veneziana:
http://rialtofil.com/2011/12/29/72/
Per leggere la “puntata” precedente:
http://rialtofil.com/2013/12/02/il-tesoro-ritrovato-murano-comera-nel-1600-parte-terza/
Per una visita al Museo del vetro (sempre consigliata), corre l’obbligo di segnalarvi che al momento è oggetto di lavori di restauro co-finanziati dall’Unione europea; lo spazio visitabile è di conseguenza ridotto (così come il biglietto di ingresso):
http://museovetro.visitmuve.it/it/il-museo/sede/la-sede-e-la-storia/:
A lavori ultimati, Rialtofil vi aggiornerà su quella che è una delle eccellenze dei musei civici veneziani. A chi volesse approfondire le motivazioni economiche che nel 1848 portarono i veneziani (con i muranesi e i chioggiotti!) a sfidare un Impero, cacciare con la forza gli occupanti austriaci, riappropriarsi della propria sovranità e conservarla contro ogni avversità fino all’agosto del 1849, consiglio invece questa lettura: